mercoledì 31 dicembre 2014

DUE PAROLE







Spogliato dell'ultima barba e del pigiama alle quattro del pomeriggio,
dopo aver strofinato le guance col balsamo.
Mentre gli abeti perdono i capelli,
i fegati soffrono di eccesso nutrizionale,
mentre la neve e il lavoro evaporano
e la televisione dice che fa freddo,
mi basta guardarti per sentirmi fiero,
che un isolato di distanza giustifica già la nostalgia.
E vado lontano, ogni sera, mese dopo mese
a dare il massimo e tornare per dare il massimo nuovamente.
E' questo quel che faccio
in ogni cosa che amo, in ogni cosa che odio.
A mezzanotte il mondo esploderà di sughero e polvere da sparo
e prima che sia tardi,
due parole:
Ti Amo
e viene così naturale.


(a Patti)

martedì 11 novembre 2014

LIVIDI

Aspettavo la neve e il cielo color salmone.
Il fascino della paura
che non si spegneva insieme allo schermo.
Le lacrime e la solitudine
che nemmeno il sonno spazzava via.
Due quartieri sono terra e luna per un bambino.
Cosa devo a quel che ero?
Quali sono i suoi sogni inceneriti?
Dal pavimento
all'uomo che sono adesso,
coi lividi (quelli in superficie)
assorbiti o pisciati via con il sangue.
Il cielo salmonato mi fa ancora sperare,
e sorrido alla pasta in bianco,
perché c'é
e ci sono anch'io.

                                                                                        (Enrico Bonifazi)

domenica 7 settembre 2014

L'EGOISMO E I FILOSOFI DA SOCIAL NETWORK




La nostra prospettiva di osservazione del mondo è distorta. Non siamo capaci di svestire i panni che abbiamo sempre indossati e abbandonare anima e corpo per focalizzare l'attenzione su noi stessi, sul nostro comportamento e sull'incidenza che abbiamo sulla vita e sulla società. Ho appena superato i quaranta e di strada alle spalle ne ho molta; non parlo di esperienza su quello che è giusto e ciò che è sbagliato ma di osservazione dell'essere umano nelle sue migliaia di sfaccettature. Questo mio angolo o “trincea” dalla quale guardo e imparo, è un muro altissimo che arrampicandotici sopra puoi vedere l'orizzonte e al tempo stesso mi divide da tutto il resto e cioè quel mondo che mi rende filantropo un giorno e misantropo il giorno successivo. E' un circolo vizioso. Quel che mi appare è un paese “drogato” di falsità, strozzato da una cattiva gestione e corroso dalle termiti che lasciano prevalere sempre gli interessi personali. Intanto il Mediterraneo ingoia persone; non extracomunitari, neri, profughi o clandestini ma PERSONE. Cotti di sole e claustrofobia, sradicati da una terra che è soltanto una lunga strada verso il nulla, masticati dalle onde e dai pesci e vomitati su di una spiaggia, dove, a detta dei soliti qualunquisti, per i quali bisognerebbe organizzare il Premio Nobel dell'ignoranza, troverebbero ad aspettarli una retta mensile, una casa e portate a cinque stelle. La realtà è che trovano degli eroi a tendergli le braccia. Dei coraggiosi che non si fregiano le giacche di medaglie sparando proiettili e slogan. Persone che aiutano altre persone in fuga dalla loro sfortuna, niente di più semplice. Niente di più eroico. Sento sempre più famiglie considerare l'estero (Germania o Australia soprattutto) per una loro eventuale dimora futura ma che gli “altri” vengano ad “insozzare” gli zerbini della nostra penisola è davvero inconcepibile. “Restassero a casa loro!” protestano con fotografie e notizie abilmente ritoccate e condivise su Twitter. Portano l'ebola, spacciano, rubano, uccidono e chi più ne ha più ne inventi. Filosofi da social network che vanno ben oltre il razzismo sconfinando nell'egoismo assoluto e che se la prendono anche con figlie della stessa nostra nazione, con Vanessa e Greta, due ragazze partite per contribuire (da volontarie) all'assistenza sanitaria in Siria, nelle zone colpite dalla guerra. Delle due giovani, rapite e dal destino ancora incerto, si criticano gli ideali e le scelte con frasi del tipo “ma che cazzo ci sono andate a fare?” oppure “se la sono cercata”, seguite da innumerevoli commenti stupidi e volgari che preferisco non riportare, sicuro di aver reso bene l'idea. Certo, avrebbero potuto arrostirsi sulle spiagge di Formentera, sorseggiando un Martini con le olive, postando selfies al tramonto o fotografie di carcasse di crostacei su di un piatto. Che brutte persone che sono, queste due che offendono i passivi saggi dei socials; quelli che leggono due trafiletti e sanno sempre tutto senza mettere mai in pratica le loro teorie. Però il “ridateci i Marò” non me lo sono sognato. 
Lo stress dell'economia è un mirino puntato contro il diverso. Se non è tedesco ruba il lavoro (era il 1940 in Germania) e in molti non hanno ancora capito la lezione e quale potente virus (ben peggiore dell'ebola), possa propagarsi da simili correnti di pensiero. Ma quando qualcuno è disinteressato e fa del bene, viene spesso schiacciato dalla mediatica pressione delle dita puntate. Prima di condannare uno sbaglio ci deve scappare il morto ma per criticare una buona azione la prima linea è gremita. E' il caso del Ice Bucket Challenge, che prevede il versamento di un assegno in favore della ricerca sulla SLA dopo un altro versamento (per gli arditi), quello di una secchiata d'acqua con cubetti di ghiaccio sulla schiena del candidato di turno. Una “Catena di Sant'Antonio” che passa da un vip all'altro divertendo le persone sul web e gonfiando i portafogli delle associazioni. “Ma guarda questi coglioni che si rovesciano secchiate e si fanno pure filmare” commentano i soliti tuttologi. Per anni abbiamo soprassieduto a fotografie di tette, culi e autoscatti impregnati di vanità e condivisi da questi personaggi ma appena qualcuno trova il modo di sfruttare il loro narcisismo in favore della ricerca c'è chi si lamenta. Valli a capire. Nel frattempo, la “giostra” ha fruttato quanto mai si sarebbe potuto prevedere e la gente si fa due risate (se ne ha voglia) visionando la clip di 10/15 secondi. Che rovina per il mondo! Oggi mi è capitato di leggere il testuale commento: “Quasi quasi me ne vado in Libia, straccio i documenti, mi imbarco su una nave e torno in Italia per vivere da nababbo come profugo”. Riformulo la frase adeguandola alla realtà: “ Quasi quasi me ne vado nel mezzo di una guerra civile dove gli scontri tra le milizie causano migliaia di morti, straccio il privilegio che nei ¾ del mondo mi invidiano, pago ogni mio avere ad uno scafista che mi procurerà il posto su di una carretta del mare dove le percentuali si dividono tra il morire d'asfissia in estate o congelare d'inverno, senza contare il sempre più concreto rischio di affondare e dopo un'Odissea indicibile torno (se sono fortunato) in Italia, dove vivrò in un centro di accoglienza senza alcuno dei comfort che ho nella mia casa, senza stipendio, con servizi ingolfati, tra puzza di urina e problemi di sovraffollamento”. Mi piacerebbe davvero vedere un video dell'impresa di questo “quaquaraquà” per vedere quanto impiegherebbe ad urlare “mamma” e scoppiare in pianto. Ho visto persone impazzire per una coda a Gardaland o al casello autostradale sotto il sole di Luglio. Vivi e lascia vivere non è un motto che amo. Vivi e lascia morire è stupido ed egoista. Il mondo non cambierà facilmente ma spero che almeno approfondisca e rifletta prima di sentenziare.



                                                                                                             Enrico Bonifazi  9/7/2014

martedì 19 agosto 2014

MURETTO




Avevo ferite e cicatrici sulla schiena
ma ridevo.
Il mio sorriso era un taglio di lama
e i riflettori lo illuminavano.
A mio agio,
a fari spenti,
continuo a fare cose che amo con persone che amo
e cose che odio per le persone che amo.
Il muro aveva ancora il contorno della mia schiena
e mi ha assorbito.
Sono felice
e “buona gastroenterite a” me.

                                                              Enrico  (Luglio 2014)

domenica 3 agosto 2014

Una settimana al Villaggio Uliveto




Come ogni “intelligente” che decide di attraversare l'Italia, sveglia puntata alle 3 di notte e levataccia per tutta la famiglia. Moglie al mio fianco e figlie “spalmate” sui sedili posteriori, pronte a riprendere il sonno da dove lo hanno appena interrotto. Cade qualche gocciolina su Imola; del resto, dopo una settimana di febbrili consultazioni al sito “infallibile” de ilmeteo.it il verdetto degli “esperti” scienziati del satellite prevede per noi bel tempo solo a partire da mercoledì pomeriggio, cosa che scatena una certa preoccupazione considerando che ci troviamo nella notte tra sabato e domenica. In poco più di sei ore, colazione e rifornimenti compresi, la nostra Fiat Punto con “sarcofago” per valigie incastonato sulla capote copre i 520 km di autostrada e lande desolate che avvolgono la provinciale lungo i laghi di Lesina e Levico. I due bacini, sono tutto ciò che ancora ci separa da Rodi Garganico (la nostra meta) e così, dopo sonnellini intermittenti (ovviamente la ciurma), dopo una velatissima alba sul mare appena scorgibile al di sopra dei New Jersey in cemento e dopo la macabra visione di innumerevoli carcasse di animali, domestici e non, spappolati sull'asfalto, stanchi, stropicciati ma felici, scendiamo dall'auto nel parcheggio del Villaggio Uliveto. L'accoglienza è davvero ottima; tutti gentilissimi e disponibili alla reception mentre un gruppetto di animatori dell'Atomic dispensa sorrisi e bibite. Il problema è rappresentato dalla discordanza di orari tra la partenza “tattica” in notturna e i tempi di consegna della chiave per la camera che (già sapevamo) per ovvi problemi di pulizia post-partenze dei vacanzieri del turno precedente non potrà avvenire prima delle 17. Nell'attesa, possiamo però usufruire del pranzo, servizi spiaggia e piscina oltre a birre, coche e amari/limoncelli a profusione entro gli orari dell'All-Inclusive del bar. Pronti a questa situazione perché allertati precedentemente, decidiamo di trascorrere la restante mattina in spiaggia. Giusto il tempo di scaricare uno zaino contenente tutto il necessario per la balneazione e un pullmino da nove posti si trova a nostra disposizione per “scendere” alla spiaggia. Dico scendere perché il Villaggio Uliveto è in posizione panoramica e da ogni punto del giardino si può osservare il mare azzurro del Gargano, da Rodi alle Isole Tremiti ma per raggiungere sdraio e ombrelloni bisogna percorrere un tratto di appena 450 metri con una pendenza del 50%. A condurre la “picchiata” c'è un moderno e cordiale Mario Andretti che mette il massimo impegno nel centrare ogni buca sull'asfalto, compito non poi così difficile visto che ce ne saranno almeno una cinquantina. Il conducente derapa e si appoggia sulle sospensioni con tutto il peso del veicolo tanto che arriviamo allo stabilimento balneare del “Mulinello del Poeta” rimbalzando come un enorme canguro con le ruote. Dopo averci spalancata la portiera e dato appuntamento a più tardi, mr.Andretti ci consiglia di stare attenti al treno quando attraverseremo i binari. Che intende dire? Rocky, alias il poeta (perché scrive poesie ed è in qualche modo interessato al cinema), ci augura una buona giornata e ribadisce l'avvertimento riguardante il treno. Così scopriamo che per raggiungere la spiaggia dobbiamo attraversare i binari delle ferrovie del Gargano, come se fossimo ad un normalissimo passaggio pedonale, cosa pittoresca e affascinante che mi capitò solo durante un vecchio viaggio in Serbia, quando gran parte delle stazioni erano state rase al suolo dalla violenza del conflitto. La piccola, piccolissima (microscopica per noi che veniamo dalla Romagna) spiaggia è splendida e perfetta per le famiglie come la nostra. Sabbia dorata, pulitissima e mare non caraibico ma nemmeno “minestrone” come quello di Marina Romea. Sulla giornata incombe qualche nuvolone che ignorato dal nostro ottimismo viene spazzato via dal vento. Il proprietario dello stabilimento è un tizio di nome Rocky, soprannominato “il poeta” perché (come detto prima) compone versi e a prova di questo fatto, una targa metallica con la scritta “Fittasi camere” troneggia all'ingresso del lido. Scherzi a parte, quell'uomo, che trascorre le sue giornate seduto con lo sguardo rivolto verso il mare, giocando a carte e assicurandosi che bambini sfuggiti alla sorveglianza dei genitori non si “accampino” sui binari della ferrovia, pare sia davvero bravo a scrivere poesie, cosa che (purtroppo) ho appreso troppo tardi, quando nella clessidra della vacanza non restavano che pochi granelli di sabbia. Il bagnino, un ragazzo sempre sorridente che per molte donne o giovani al di sopra dei quattordici anni potrebbe valere “il prezzo del biglietto”, con uno smartphone trapiantato nei polpastrelli lascia a noi la scelta dell'ombrellone. La mattinata trascorre lieta, tra bagni al mare e qualche attimo di cedimento e sbadigli dovuto alla levataccia. L'assenza di una di quelle belle docce d'acqua dolce adorate a mia moglie, solitamente presenti in spiaggia, ci riconsegna alla navetta del rientro un po' rinsecchiti e intrisi di sabbia e sale. Durante la risalita, i leziosismi al volante di Mr.Andretti con il pullmino sovraccarico ci fanno scorrere nella mente i ricordi di Hazzard e dalle budelle, quasi risalire la colazione maldigerita. Al Villaggio Uliveto è l'ora del pranzo. Ci viene assegnato un tavolo bifamiliare all'interno di una enorme sala divisa in tre locali. Alcuni degli animatori che avevamo intravisto al mattino, ci salutano come vecchi amici che non rivedevano da anni e distribuiscono mestolate di facce liete preconfezionate, come aperitivo, per tutti i villeggianti. Entrando nell'ambiente centrale, dozzine di vassoi pieni di ogni pietanza fredda attendono di venire falciati e smembrati da persone affamate e noi, affamati, lo siamo parecchio. Alcuni addetti alle cucine distribuiscono i primi e i secondi e il profumo di pomodoro regna sovrano. Per pasta, carne e pesce ci si mette in fila (solitamente per un minutino) e si torna al tavolo con il proprio “trofeo” fumante per gustarlo con calma. Tutto un po' “pasticciato” ma buono. Dulcis in fundo grazie ad un rubinetto “magico” da cui spillare vino rosso o bianco a profusione, la deglutizione viene lubrificata alla perfezione. Unica pecca dell'ambiente, la breve scalinata con gradini tondeggianti che conduce alla sala dove si trova il nostro tavolo. Il continuo andirivieni di bambini in infradito con piatti talmente carichi da sembrare vassoi a loro volta, rende ogni scalino viscido a causa di detriti di patate lesse, schizzi di maionese o frammenti di gnocco fritto che trovano la libertà lungo il percorso depositandosi lì, proprio lì dove pochi istanti dopo poggerai il tuo piede. Inutile precisare che in simili avverse condizioni, dire a tua moglie: “vado a prendere la pasta in brodo” è un po' come partire per la grande guerra. Chiudono il pasto commoventi triangolini bonsai di anguria. I bambini partono alla loro apparizione, ne impilano una cinquantina su di un piatto da dessert e tornano alla base lasciando ai piedi del vassoio una pozzanghera nella quale galleggiano grumi di cocomero e qualche semino. Alla fine del pasto, l'abiocco raggiunge livelli da mattina di capodanno, nonostante l'atmosfera ventilata, nonostante il caffé e nonostante le canzoni emesse da un amplificatore con volume da giostraio posizionato a pochi centimetri dal nostro tavolinetto, nella piazzetta del bar dell'all-inclusive, forse per scoraggiare a suon di Amoroso e Dear Jack gli avventori desiderosi di bissare birra e amaro. Alle 15, fortunatamente apre al pubblico la piscina del Villaggio e (soprattutto) si possono occupare le sdraio e ombrelloni con ganci appendiabiti posizionati a due metri di altezza, ossia fuori dalla portata di moglie e progenie; prendiamo possesso di due lettini circondati da persone che si trovano nel limbo come noi e si scambiano frasi del tipo: “Non so se ce la faccio ad arrivare alle 17” oppure “Quanto tempo manca alla consegna della chiave?”. Zombies in canottiera e bermuda che brulicano ovunque in cerca di un triangolino di ombra, una bibita alla spina o quel relax che solo l'aver disfatto le valigie ti può far provare per intero. Tra un tuffo e l'altro, l'ora fatidica arriva e mi dirigo alla reception dove una folla enorme e incontrollata, manco fossimo davanti ai cancelli per assistere all'ultimo concerto in carriera degli U2, attende l'assegnazione degli alloggi. Una receptionist, vagamente somigliante ad una Tania Cagnotto in carne mi consegna la chiave della villetta numero 22 e finalmente possiamo fluire verso il vero inizio della vacanza. L'alloggio è pratico, pulito e ha un certo fascino. Una casetta avvinghiata da ulivi. Dalla veranda si vede il mare, laggiù all'orizzonte ed è più azzurro che smeraldo, a differenza dell'Adriatico di Romagna. C'è un frigorifero di dubbia utilità ma manca il comodino; al suo posto due mensoline di una dimensione talmente ristretta che se devi riporci due biro le devi impilare. Fatta una rapida conoscenza della stanza ci catapultiamo nuovamente in spiaggia per godere di quel che resta del giorno. Ad attenderci al capolinea della navetta, c'è stavolta un losco figuro, imbruttito come me quell'unica volta in cui dovetti lavorare per la vigilia di Natale. Lo saluto gentilmente e lui, facendo uno sforzo come se sollevasse un palazzo di sei piani, roteando con la lingua uno strano bastoncino (un tronchetto ad uso stuzzicadenti che succhierà continuamente anche nei giorni a venire) e increspando un angolo della bocca mi sussurra un “salve” impercettibile. Poi, “Entusiasmo” attende l'arrivo di altri bagnanti per scendere verso il mare a pieno carico (circa 15 persone in un mezzo che può contenerne al massimo 9) e a differenza del conducente mattutino, guidando con grande rispetto dei nostri stomaci, ci “mena” al Mulinello del Poeta.
Dopo la cena, ci rilassiamo in camera e il sonno arriva a ricaricarci di energie e a ripararne le carenze; si dorme bene... benissimo al Villaggio Uliveto.
Il risveglio è splendido: una porta che si spalanca su un panorama da cartolina. Mettiamo “benzina” in corpo con la continental breakfast del villaggio, a base di marmellatine, cubetti di burro, croissant, fette di ciambella e quelle che chiamiamo sempre nutelline ma che rigorosamente NON sono vera Nutella. Dopo un saluto unilaterale con “Entusiasmo” che stamani succhia una specie di manico di badile, prendiamo posto alla spiaggia di Rocky. Il mare è calmissimo, il sole (a dispetto di quei “lungimiranti” de ilmeteo.it che prevedevano una massima di 20°) brilla alto al centro del cielo. Ma sta per accadere qualcosa che ignoravamo; qualcosa che ci travolgerà come uno tsunami; qualcosa che ieri non c'era: l'animazione! Si presentano “buongiornando” tutti con entusiasmo da circensi, muniti di amplificatore da un trilione di Watt e sono tanti, tantissimi come gorgosauri che circondano il branco per isolarne i deboli. Impossibile leggere un libro o ascoltare musica con gli auricolari; Ad uno ad uno passano in rassegna come venditori del Folletto per proporti Miniclub, Juniorclub, risvegliomuscolareboccebeachsoccervolleygaradeicastelligiocoghiacciologiocoaperitivo e se non riescono a contagiarti con il loro entusiasmo, tornano e tentano di convincerti ancora e ancora con la stessa tenacia di una compagnia telefonica all'ora di pranzo. Il mare, zona franca, diviene così il nostro rifugio fino all'ora di pranzo quando un Andretti particolarmente ispirato ci trasporta alla base guidando praticamente su due ruote in impennata laterale.
Decido di chiedere alla reception i telecomandi di Tv e condizionatore che non sono in camera. Per averli verso una cauzione di 50 euro: praticamente venti volte il loro valore. Perlomeno potrò leggere qualche pagina di televideo prima di dormire! Infatti, acceso il televisore, appare Telenorba, unico canale visibile oltre ad un'emittente iperfighetta chiamata Fine Living che mostra continuamente gente nell'atto di “risucchiare” ostriche due alla volta come tortellini di Bologna oppure intenta a risolvere il problema “vitale” del dove edificare la sedicesima casa al mare. Ovviamente niente Supertennis! Durante il rito del caffè serale, Valentina e Giulia raccontano di aver fatto amicizia con altre ragazzine della loro età, grazie alla passione reciproca per una cucciolata di micetti che scorrazzano nei pressi della sala ristorante. Per questo, Giulia decide di fermarsi con loro allo spettacolo delle 21.00, proposta quotidiana dell'Atomic (animazione), mentre gli occhietti di Valentina sono troppo pesanti e la costringono a dare forfait e ritirarsi con noi in stanza. Giulia, che rientrerà alle 23.30, racconterà di uno show davvero divertente ma come si dorme bene all'Uliveto Village... l'avevo già detto? Il martedì è “animato” da un inconveniente. Durante una derapata con impennata laterale, il nostro acclamatissimo Andretti (Holer Togni per l'occasione), è riuscito a seminare per strada il perno che teneva ferma la ruota posteriore e la sua navetta è fuori uso proprio nell'ora di punta, ossia la risalita del mezzogiorno dalla spiaggia al Villaggio. Importante sottolineare che si tratta di una mattina durante la quale il vento ha impedito l'apertura degli ombrelloni, per cui il naso di Giulia e le spalle di Patti sono dello stesso colore della crosta delle aragoste. Lo sento, l'autista (sto sciagurato), parlare di fortuna, vantandosi di essersene accorto in tempo altrimenti sarebbe potuto accadere qualcosa di grave. Tsé. Entusiasmo, fumante come un cilum durante la festa di Cuore, perché costretto agli straordinari, ora che una fiumana di persone cerca con gomiti alzati e placcaggi di scalzare il nostro turno, sbotta perché sovraccarico e sottolinea che se lo fermano i vigili, sarà lui a rimetterci la patente. Lui? Quello che non partiva finché i passeggeri non raggiungevano la doppia cifra, i bambini non si accomodavano nel posacenere e gli animatori nel vano portabagagli? Quando tocca a noi, un fichetto, vista l'impossibilità di prender posto, s'intrufola, scaltro, sui sedili anteriori, poi, comodo, sul mezzo di trasporto guarda la moglie (carica di teli e borsoni come un cammelliere) e due figli rimasti a terra. “Ora le cederà il posto!” pensiamo contemporaneamente io e Patti ma il “fichetto”, fedele al suo enorme ego li guarda e “sportivamente” domanda: “...e voi?” ...sono cose che fanno riflettere sui misteri dell'umanità. Nel frattempo, tra un tuffo al mare, uno in piscina, una enorme schifida biscia nera che si aggira per il Villaggio e (si dice) una volpe che insidia i gattini adorati dalle mie bambine, tagliamo il traguardo di metà vacanza. L'esperienza ci arricchisce di alcune “perle”; sappiamo, ad esempio, che se un giorno si mangiano cotolette panate, nei giorni successivi i rimasugli di quella pietanza saranno sparpagliati sotto mentite spoglie nei vassoi degli antipasti. Vale per tutto, anche per la pasta o il pesce o la ricotta utilizzata per il condimento di un primo. Ci si potrebbe giocare al “toto-antipasti”. Altra cosa è il pieno controllo delle attività e delle strutture. Ora, con Vale si gioca a tennis mentre Giulia tira con l'arco poi una bella birretta fresca al bar e, insomma, si villeggia alla grande. Con la televisione è una causa persa. Più pixel che in un quadro di Picasso. Uno spappolamento di immagini e di cabbasisi che toglie ogni voglia di accenderla, Fine Living a parte. Vabbè, sulla baby dance non mi esprimo se non per esternare la mia incredulità provata nel vedere bambini sculettare sulle note delle canzoni del praticamente “estinto” (ammesso che vivo lo sia mai stato) Francesco Salvi ma dopotutto domani è un altro giorno... già ma prima c'è la notte e che notte! Nel dormiveglia inizio ad avvertire un certo movimento su e giù per la stanza. Patti si alza, poi si rialza, poi sento un gorgoglìo nello stomaco e al mattino sono piegato in due. Lenzuoli con le gambe (altro non siamo) si avviano a consumare la colazione e una fila sospetta al distributore del tea al limone conferma la colitica pandemia. Tuttavia la giornata scorre normalmente, con qualche fughettina al bagno del poeta, dove si compongono versi ( e colonne sonore) di tutt'altro tipo. All'ora del pranzo, viene fatta un po' di luce sulla vicenda. Pare si tratti di una porchetta cotta male capace di “intossicare” i ¾ degli ospiti all'interno della struttura (personale compreso). Come a voler mettere un cerotto sulla ferita, la direzione pensa bene di inserire il Tea freddo tra le bevande all-inclusive ma se uno spacciatore di enterogermina fosse passato da quelle parti nel pomeriggio avrebbe guadagnato tanto da potersi permettere una casa con vista sul Colosseo. I camerieri fanno domande cercando allo stesso tempo di sdrammatizzare e di sondare il livello di incazzatura generale. Prima di cena, nei pressi del ristorante, una signora ci confida il suo timore (quasi terrore a sentir lei) di toccar cibo perché suo marito, poverino, è stato tutta la notte seduto sulla tazza in “travaglio”. Neanche cinque minuti dopo, la medesima signora passa accanto a Patti sorreggendo due piatti carichi come la stiva di una nave mercantile: e passa la paura. Il bagno delle signore nei pressi del bar fuori uso e il farmacista di paese costretto a far scorta di fermenti lattici sono quel che resta della lunga giornata, e per fortuna che le mura dei gabinetti non possono parlare. Lo spettacolino, sempre divertente (Giulia e Valentina rientravano in stanza poco prima della mezzanotte per guardarlo fino alla fine), coinvolge stavolta anche parte dei villeggianti. Noi, nel pieno rispetto dell'amatissima pigrizia da vacanza, ci defiliamo verso la metà della rappresentazione per imboccare la via degli ulivi che conduce alla “branda”. Gli ultimi spiccioli di vacanza sono splendidi. Ormai tutto ha la nostra forma e il tempo è modellato alla perfezione per divenire servo della dolce vita che tanto amiamo vivere in ferie. Non siamo quei turisti da più di una settimana però perché la nostalgia delle nostre cose, passioni e della casa (quella sì che ha davvero la nostra forma) o del gatto che nonno Pietro e zio Marco stanno accudendo in questi giorni per noi, inizia a fare capolino. Io e Patti, amanti delle vette, del fresco e delle calorie dei piatti montanari, iniziamo a essere un po' “spremuti” per quel che riguarda il mare e la vita da spiaggia. Del resto Luciano Bianciardi scrive nel suo bellissimo “La vita agra”: <<Io non capisco tanta gente che sgobba per farsi la casa bella nella città dove lavora, e quando se l’è fatta sgobba ancora per comprarsi l’automobile e andare via dalla casa bella.>> ...non fa una piega!
Accade poi ciò che venne previsto da me con largo anticipo. Un anziano signore scivola sui gradini che separano la sala degli antipasti da quella dove sono collocati i tavolini (senza conseguenze fisiche per fortuna) mandando in frantumi un piatto e schizzando di condimenti vari gli sfortunati passanti. Era inevitabile? Secondo me sì e forse ai successori sta accadendo proprio in questo momento. Poi c'è la fila per il fritto. Situazione perfetta per la mia amata osservazione dell'essere umano e delle sue reazioni buffe. Beh, il menù prevede calamari fritti e le persone impazziscono creando un ingorgo che gira a spirale attorno al bancone centrale dove poggiano i vassoi, tagliando la strada ad altra gente che impazzisce a sua volta. Io, con la mia solita calma piatta, osservo, adulti sbuffare per dieci minuti di attesa, ragazzi rinunciare a pochi metri dall'obiettivo e un sosia di D'Alema che, dopo aver intossicato tutti i villeggianti con sigari puzzomerdosi fumati nel punto di massima concentrazione della folla (dove cioè poteva infastidire più persone), sbotta ad alta voce sciabordando bestemmie ed improperi; poi c'è quello che passa davanti agli altri o quella che ne vorrebbe tre piatti scatenando così un coro di indignazioni borbottate alle sue spalle oltre agli animatori che scavalcano la fila e “simpaticamente” rischiano la vita sbeffeggiando gli incolonnati, pronti a tutto per una rondella dorata di calamaro. Ahhh, la fila, che il destino me ne regali a centinaia. Quanto la amo!
E arriva il giorno, anzi la notte della partenza; preannunciata da un tramonto con aperitivo offerto dalla direzione, sulla terrazza panoramica, durante il quale tutti coloro che hanno fatto amicizia o che non si rivedranno, possono salutarsi o scattare fotografie ricordo mentre sorseggiano una fresca bevanda o sgranocchiano noccioline e simili. Giulia e Valentina salutano le nuove amiche. Non lasciatevi ingannare dalle tragicomiche situazioni descritte in questo breve racconto. E' stato un bellissimo soggiorno, che consiglierei davvero a chi ama il mare in estate. Dopo il suono della sveglia, alle 3 di notte, salutiamo la casa, la vista panoramica, i gattini e anche due gechi in parata per noi sui muri della reception. Con quella stessa nostalgia che ci fa desiderare la nostra bella casina in terra di Romagna, salutiamo il Villaggio Uliveto, uno splendido posto, pieno di persone allegre, disponibili e cordiali, cibo discreto, taaanti gattini e ora, un pezzetto del nostro cuore. Casa nostra però...

                                                                                                                             

                                                                                                                Enrico 

domenica 27 luglio 2014

L'orgoglio di Roger


Il televisore è ancora acceso ma il sipario, sul giardino del Re è calato da un pezzo.
Ad un certo punto le gambe non ce l'hanno fatta a sostenere il peso del suo cuore troppo grande... enorme. Il vaso di Pandora ha scatenato ogni suo abitante nel tentativo di far breccia in quello scudo retato sorretto da un polso che è insieme seta e granito.
Niente da fare.
La speranza, sempre l'ultima a fare capolino, allunga le scadenze, allevia le lacrime, disinfetta e trasforma una caduta in un volo alto, a planare, per vedere tutto meglio dalla prospettiva degli Dei.
Non dite che è soltanto sport perché è arte.
Non dite che è tifo perché è sentimento.
 Del resto chi può decidere se sia più o meno appassionante la conquista delle mura di Troia rispetto alle gesta di un uomo sempre in bilico sul confine di ciò che è umano e quel che non lo è.
Le ultime forze scorrono come linfa e l'attrezzo è ormai un prolungamento del braccio, quel ramo sempre pronto a germogliare e così fertile da render viva anche quella piccola sfera fluo.
Una fenice che si solleva dalla cenere.
A nessuno più interessa la vittoria; ciò che accade và oltre l'happy-end scritto ormai da anni e la bellezza non è più negli occhi di chi guarda, sissignori, la bellezza è lui e siamo tutti quanti in piedi ad applaudirla, orgogliosi come se su quel prato ci fosse il sangue del nostro sangue.
Mi fa pena chi è ancora incapace di distinguere sfumature in una tale vastità di colori e non sa apprezzare il valore se non è accompagnato da uno scatto sorridente nell'atto di sollevar trofei.
Continuano a consigliargli il ritiro, come se restando al suo posto sottraesse spazio alla mediocrità e sanno bene loro qual'è la strategia, quali i metodi di allenamento, la dieta... non ce n'è uno che non sappia queste cose talmente "ovvie".
Inchiostro sterile continua ad imbrattare pagine. Dicono che non è possibile sapere chi sia il più grande ma sanno chi non lo sarà mai.
Io ho idee mie.
Ho visto e sono fiero.
C'è una lacrima sul giardino del Re. I falchi si riposano, le zolle prendono aria e quel polso ora è il prolungamento di altre vite.
Attraversa il ponte e si allontana ma tornerà perché è la cosa che sa fare meglio.
Anche l'attesa diventa magia. E' il giusto prezzo;
l'unica unità di misura della bellezza.
Ci sporgeremo per guardare se arriva
e sarà un nuovo capolavoro.

                                                                                            Enrico Bonifazi

Patti



E appena la luna è tanto bella da distrarmi

allungo le mani e ti trovo.

L'aria che respiro mi tiene in vita

ma non mi emoziona quanto le tue palpebre chiuse.

É il valore occulto dell'insonnia;

il lumicino che permette a pupille e cuore di dilatarsi un po'.

Sento il bisogno di nutrire quel che ora sono

e servono le carezze del tuo scalpello per eliminare le imperfezioni.

Lo specchio non mi ha mai soddisfatto

e aspetto di vedere quel che riflette il tuo sguardo

per esser certo di saper chi sono e chi sarò.

Il futuro lo conosco da sempre

e brindo con lui alzando il calice della certezza.

Il futuro lo scrivo, insieme a te,

mentre il mondo sta ancora imparando a leggere

e nessuno saprà mai “com'è andata a finire”

perché non finirà.

Al buio, i dettagli mancanti solleticano il pennello

e la mano disegna i tuoi contorni.

La luna posso anche spegnerla ora,
 che non serve più;

non servono ossigeno e proteine e nemmeno il sonno

ma è necessario averti all'estremità delle mie dita.

L'oscurità non conosce i nostri confini, troppo distanti da lei.

Tra pocogli occhi si schiuderanno

ed estrarrò la quotidianità che amo dal mio giacimento delle cose importanti.

Domani è già oggi e la gente si lamenterà

perché ciò che possiede perde valore

o perché piove al mare o fa freddo d'estate.

La strada è lunga e parte dai lembi delle lenzuola

ma inizia sempre nel modo migliore,

e piano piano, battito dopo battito, il sole arriva

ed è abbastanza bello da distrarmi

ma non tanto quanto lo sei tu.



                                                                                                                   Enrico 

 

sabato 26 luglio 2014

Una lacrima





La lacrima non è una gocciolina.
Contiene qualcosa che non puoi vedere.
Non è il sale il sapore della lacrima.
Scivola giù come una carezza
e come tale allevia
ma allo stesso tempo scorre
violenta e pesante;
acido che riga il volto.
Se lascia un segno nell'anima
e sai guardare bene dentro
puoi vedere l'arcobaleno,
ma serve la giusta prospettiva
altrimenti non è che acqua inutile.

                                                                                                  (Enrico)

giovedì 1 maggio 2014

Cuciture


Stringevo il volante
e immaginavo le indicazioni certe verso un respiro lungo...
uno svincolo,
una scorciatoia,
un rettilineo dove potersi addormentare.

C'erano le sue gambe come ramoscelli,
prosciugate,
quasi assorbite dal materasso.

C'era il suo passo incerto e coraggioso da dimenticare.

E stringevo il volante
con il peso di quel portone richiuso alle spalle,
senza forze né conforto.

Il sorriso dell'Angelo è contagioso
e non taglia le labbra come il bordo del bicchiere.
Il petto si gonfia di quella gioia che strapperebbe le ferite suturate
e che continua a dolere un po'.

Stringevo il volante guidando verso la normalità e urlavo come un pazzo.

Nessun percorso alternativo.
Siamo arrivati.
Siamo tornati.
Anche le sue gambe.

Il petto di ognuno si distende, come fosse un dipinto.
Le cuciture come segnalibro.
Il mondo non farà a meno di quest'opera d'arte.

                                                                      (Enrico Bonifazi - Dicembre 2013)

Fiori di cartapesta




E mi volto a guardare le tracce.
Nessuna speranza per quella maschera,
unico segno di riconoscimento per la dislessia del cuore.
E guardano,
guardano senza dire niente.
Sistemano di nascosto i graffi sulla carrozzeria.
Il portone è chiuso,
la finestra sprangata
e non busserò su quelle imposte imposizioni.
Non c'è il sole intorno a me... è in me
e mi nutre dall'interno.
Vado verso il blu del mio muro,
dove i fiori, senza cartapesta,
crescono anche all'ombra
e sono meravigliosi.


L'UOMO NERO



Ti aspettavo.
Ti temevo ma non sei niente.
Mi alzo di scatto quando sposti la mia sveglia indietro di trent'anni
e ti nascondi sotto al letto
a ridere sottovoce.
Ma ti sento.
Cerco la serenità che hai strappato dalle mie lenzuola
e tento di ritrovare il filo del mio russare.
Non esistono finestre che danno sui sogni
né danni nel periodo d'incubazione degli incubi.
Esisti quando io dormo,
vedo la tua coda nera rifugiarsi nel muro di mattoni squarciati.
Per un attimo rivedo i lividi e l'indifferenza,
poi sento il respiro al mio fianco
e la zattera di gommapiuma smette di impregnarsi e affondare.
L'uomo nero ha paura del sole e scappa
lasciando a terra orribili squame.
Non lo so quando ho smesso di ridere
e quando ho ricominciato a farlo;
non ho intenzione di smettere.
C'è una mano da cercare nel buio.
E' vicina.
Grazie.

sabato 22 febbraio 2014

ACHAB

La notte è una prospettiva
e da lei mi lascio sopraffare,
scordandomi delle stelle
come ci si dimentica una lanterna accesa.
Quelle luci,
milioni di miliardi di bussole,
fuochi fatui,
miraggi.
Ah saperle leggere!
Il mare come un foglio di carta.
Un'enorme massa d'acqua che alterna quiete e tempesta
e non ha strade.
La meta è ogni orizzonte, ogni alba, ogni tramonto.
Abbasso lo sguardo con orgoglio su ogni mia cicatrice.
Le onde che schiaffeggiano la chiglia
sono carezze al confronto.
Negli occhi degli altri vedo le paure.
Il terrore dello scorbo, della dissenteria,
dell'ultima onda, della coda del leviatano.
Il leviatano...
Un sogno intrappolato in un mirino
incapace di raggiungerlo.
Mi specchio nel metallo levigato
e so riconoscere anche la mia... di paura.
Temo che la mia follia non sia sufficiente
e che il mio sogno sarà, sempre,
appena qualche metro avanti alla Pequod.
Poi, oltre lo sguardo,
all'interno,
vedo la determinazione.
So che non mollerò.
Sono il burattinaio che muove i fili delle mie brame.
Salteranno via unghie e denti
mentre resterò aggrappato
e se nessuno vorrà bagnarsi,
non uno spruzzo di queste spume lo raggiungerà.

C'è la bruma sul mare stasera,
ma domani ogni singola goccia risplenderà come una gemma.
Respiro salsedine e spermaceti.
Non mi hanno stancato mille vittorie...
non potrà farlo una sconfitta.
Chi non ha paura non è coraggioso.
Lo è chi le proprie paure affronta.



                                                              Enrico Bonifazi (20/2/2014)

LA TUA ASSENZA


Non mi perdo nel mondo 
ma nella tua assenza.
Le pietre pregiate mi feriscono le dita,
le parole sono solo un rumore di fondo.
Il cuore rivelatore 
non è nascosto sotto le assi del pavimento.
E' in me e in te.
Le mie radici formano una rete con le tue
e s'intrecciano a sostenersi,
bevono il mio inchiostro migliore,
assorbono la forza che sai darmi.
Si confondono 
e mi arrampico dai capillari più sottili
ai ventricoli.
Binari ovunque.
Partono da ogni direzione
e terminano sempre con quella corsa affannata,
su per le scale,
a guadagnar briciole d'istanti
che non compensano la falla del tempo
ma salvano la vita
a chi sta per riemergere 
e finalmente
respirare.

                                  Enrico (Febbraio 2014)

domenica 16 febbraio 2014

FONTANA DI TREVI





Un passo avanti, sul selciato
e parecchi indietro, nel tempo.
Alzare lo sguardo verso il solenne circolo dei gabbiani,
che l'acqua tra i mattoni luccica così tanto.
Poi il suono, il ritmo, un richiamo:
venite ad ammirarmi!”
Ed eccolo il bianco marmo
levigato dall'eterno scorrere... della vita.
Coriandoli di stoffe multicolori, zaini e berretti con visiere
a far da grezza cornice
per rendere lo specchio liquido
un topazio incastonato nei travertini.
Poi gli spruzzi,
vaporizzati al punto da poter essere respirati.
E' l'arte che ti penetra per osmosi.
E la giapponese, illusa,
che pensa sia possibile racchiudere ciò
in qualche milione di pixel.
Ed eccolo il fischietto
che delimita i confini
e furtivo, l'uomo rattoppato,
ingolosito dai riflessi del nichel sul fondale
più che dalla magnificenza che lo sovrasta.
Chiudere gli occhi e riaprirli
senza interrompere il sogno.
E sorrido all'assenza della ninfa vergine nel vuoto
e penso alla casualità.
Nessuna traiettoria disegnata da una monetina
potrà incatenare il mio desiderio di tornare.
Tornerò e lo faremo tutti,
anche, semplicemente, con il cuore.
                                  
                                                                                        Enrico Bonifazi (Luglio 2013)









sabato 8 febbraio 2014

Uno in più

Non ho mai amato i gatti.
Non ho mai desiderato averne uno.
So che è sempre stato un tuo sogno ed è difficile opporsi ai desideri di chi si ama.
Manco spesso. Rincaso tardi e sei lì che aspetti.
Esco quando i tuoi occhi sono grandi grandi e torno che stanno quasi per scomparire.
E' il momento. E' arrivato.
Poi ti osservo mentre carezzi il nostro piccolo gatto sottratto alla strada
e colori la stanza con quel sorriso grande grande
che spero di non veder scomparire mai.
Sei felice.
Sono felice di questo
e penso che sei come un paio di lenti
attraverso le quali guardo il mondo 
e mi appare migliore.

                                        Enrico

domenica 26 gennaio 2014

Tu Non Cambi Mai


  



Puoi guardarmi senza far brillare i tuoi occhi
o ascoltarmi credendo che io sia pazzo.
Sì, lo sono.
Sono pazzo di gioia,
non devo abbassarmi a cercare.
Non ho voglia di fare tardi
e nemmeno porto l’orologio,
perché ogni istante è ora di starti vicino.
Chi mi incontra per la strada non capisce.
E' intento ad inseguire i sogni più strani …
Non sa quanta forza mi dai per rimanere in piedi
malgrado siano in tanti a cadere giù.
Mentre mi arrampico fra le coperte del letto,
lo sento il tuo respiro.
Invade la stanza e il mio cuore piccolo piccolo resta a guardare
come se non avesse più domande da fare.
Ci sono uomini che si manderebbero in rovina
per avere più di quel che hanno…
Io darei tutto perché ogni cosa restasse così
e mi piace questa mia età in cui smetto di credere ai sogni
e dopo un’ora ti guardo e continuo a crederci.
Questo è un cammino che continua ad andare avanti
mentre ai lati della strada molte cose si perdono.
Cambiano le idee, cadono i capelli,
le figlie crescono e tu… tu non cambi mai
ed io… non potrò mai non amarti.