lunedì 24 aprile 2017

FRANCO BARESI -per sempre IL CAPITANO-




Quando sentiamo qualche anziano citare, con gli occhi che brillano di nostalgia, i mitici anni sessanta, anche a noi nelle cui vene scorre sangue rossonero, il cuore si annoda un po. Non è per l'economia fiorente, né per le belle canzoni di amore assoluto e nemmeno per gli stabilimenti balneari o per la rivolta del '68. La spiegazione è più semplice: negli anni sessanta, più precisamente l' 8 maggio del 1960, a Travagliato in provincia di Brescia, nasce colui che diverrà il più grande difensore di tutti i tempi: Franchino (detto Franco) Baresi. Le ginocchia sbucciate, il carattere chiuso dalla timidezza e i tanti palloni forati durante i lunghissimi pomeriggi di luglio, passati interamente a giocare a calcio assieme ai fratelli Angelo e Beppe, fanno parte dell'infanzia del trio più temuto (in chiave calcistica) della zona. Tutti sanno che “la squadra dei Baresi” è praticamente imbattibile e lo scopre anche il Milan, giunta per disputare un'amichevole tra selezioni giovanili contro l'Unione Sportiva Oratorio Travagliato e sconfitta per 4 a 0. Il merito è anche di Guido Settembrino, l'allenatore della squadra che propone a Beppe Baresi, il mezzano, di sostenere un provino per l'Inter. La famiglia ha radici rossonere ma di fronte alla grande occasione nessuno pone ostacoli e Beppe diventa un giocatore nerazzurro. Dopo la morte della madre, Franco si chiude in se stesso. Il dolore e la perdita dell'appetito lo rendono fragile e gracilino. Ad un provino per raggiungere il fratello Beppe nelle fila dell'Inter, viene “scartato” proprio per le caratteristiche fisiche poco convincenti. Presente alla prova però c'è Italo Galbiati, colpito dalla sua destrezza e dal piede "buono". Italo sta per passare al Milan nello staff tecnico e offre a Franco una seconda occasione, questa volta nei rossoneri. E' così che nasce un'epoca. La storia del club viene riscritta nel momento in cui Francesco Zagatti (sempre sia lodato) lo “arruola” nelle file del Milan. Franco inizia ad impegnarsi sul campo e nello studio. Durante il torneo di Viareggio del 1977 mostra doti da grande difensore e Gianni Rivera, l'idolo di Franco, dedica a lui, in un'intervista, splendide parole. Purtroppo un'altra tragedia colpisce la famiglia dei Baresi quando Terzo, il padre, viene investito da un'automobile e perde la vita. I tre fratelli e Lucia, la sorella maggiore si riuniscono nel dolore. La voglia di ribellarsi ad un destino beffardo e crudele “corazza” Baresi che in campo scarica tutta la sua rabbia distinguendosi per grinta e tenacia. Lanciato da  Nils Liedholm giovanissimo in prima squadra nel 1977, diventa ben presto il più amato dalla curva e una pedina fondamentale per la difesa rossonera. Nella sua seconda stagione, Franco, guida la retroguardia del Milan con la sicurezza e l'abilità di un veterano alla conquista del decimo scudetto, quello della stella. Sembra una coincidenza banale ma una stella è davvero spuntata sul "tappeto" di San Siro. Purtroppo anche il calcio gioca però un brutto tiro al giovane rossonero. Verso la fine del campionato 1979-1980, scoppia lo scandalo delle scommesse clandestine che coinvolge  alcuni tesserati del Milan. La squadra viene retrocessa all'ultimo posto e quindi in serie B. All'Inter convincono Collovati ad unirsi a loro ma il tentativo di strappare ai rossoneri anche il neocapitano Baresi fallisce per il secco rifiuto del “piscinin”. Il Milan fatica a rilanciarsi e dopo la brillante risalita segue un'altra retrocessione e poi un periodo di “purgatorio” fino all'arrivo di Arrigo Sacchi nel 1987, momento decisivo nella carriera del capitano che si trova a dirigere la difesa nella innovativa strategia del fuorigioco. I rossoneri incantano l'Europa con una serie di amichevoli di lusso e dopo aver festeggiato in Italia la conquista dell'undicesimo scudetto, dominano per due anni consecutivi la coppa dei Campioni. Per tutti, il numero 6 è Baresi, un leader, un esempio, una bandiera. La difesa del Milan diviene leggendaria. Accanto a lui, si dice, chiunque farebbe bella figura. Maldini, Costacurta, Galli e Tassotti lo affiancano. Mattoni di un muro che fatica a vacillare. Giocare contro quel Milan scoraggia gli avversari come quando nel Risiko ti trovi con un paio di carrarmatini ad attaccare una nazione con due bandierine. Spesso, nei servizi televisivi di 90° minuto (programma RAI del tempo), ai tifosi avversari non resta nemmeno la soddisfazione di vedere una sola azione della propria squadra del cuore. Il passaggio del Milan da Sacchi a Capello nel 1991, porta alla retroguardia accorgimenti particolari e la difesa rossonera batte il record del minore numero di gol subiti, vincendo quattro scudetti e una coppa dei Campioni. Al capitano sfuggono per un soffio il pallone d'oro (che meriterebbe) e la conquista del campionato mondiale di USA '94 nella bollente finale contro il Brasile, da lui giocata appena 20 giorni dopo l'operazione al menisco e conclusasi amaramente con una sconfitta ai calci di rigore. Le lacrime di Franco sono di quelle che sciolgono i cuori ma nessuno gli fa pesare l'errore dal dischetto perchè, non c'è alcun dubbio che lui abbia dato il massimo per i colori della nazionale. L'ultimo suo campionato è strano. Il Milan campione d'Italia si affloscia e incassa gol da tutti. La squadra termina a metà classifica e Baresi, saluta il proprio pubblico nella partita contro il Cagliari. Non rientra nei programmi del Capello-bis ma la curva sud è con lui e quel giorno, uno striscione lungo tutto il settore blu, riporta la scritta “RESTA CON NOI”. Il capitano lascia la squadra dopo un ventennio di gloria e grandi successi. Il numero 6 viene ritirato a vita. Nessuno indosserà più la maglia che è e sarà sempre di Franco Baresi. La fascia di capitano passa a Maldini ma resterà tatuata a vita sul suo cuore. Il suo palmares a fine carriera è incredibile: 6 scudetti, 4 Supercoppe Italiane, 3 Coppe dei Campioni, 3 Supercoppe Europee, 2 Coppe Intercontinentali, 1 Mitropa (giusto comunque citarla visto che il capitano mise a segno due gol nel match decisivo contro l'Haladas) e 1 Campionato del Mondo in Spagna nel 1982 (da riserva di Scirea). Viene da sorridere al pensiero che nonostante quelle spalle definite da “qualcuno” così mingherline, si sia fatto i muscoli sollevando coppe al cielo.  Le belle parole spese per lui da Gianni Brera, ne sottolineano l'aspetto tecnico e atletico: «Baresi  è dotato di uno stile unico, prepotente, imperioso, talora spietato. Si getta sul pallone come una belva: e se per un caso dannato non lo coglie, salvi il buon Dio chi ne è in possesso! Esce dopo un anticipo atteggiandosi a mosse di virile bellezza gladiatoria. Stacca bene, comanda meglio in regia: avanza in una sequenza di falcate non meno piacenti che energiche: avesse anche la legnata del gol, sarebbe il massimo mai visto sulla terra». In realtà, qualche soddisfazione, il “piscinin” se la è tolta anche in avanti. Grande realizzatore di calci di rigore, ha segnato anche reti pesanti grazie alle sue storiche sgroppate. In pochi sanno che tra i suoi titoli individuali c'è quello di capocannoniere nella Coppa Italia del 1990 con 4 reti (tutte su calcio di rigore). Ora Baresi è lontano dal campo, vive la vita con la moglie Maura e i figli. Per chi ha vissuto la sua passione sportiva  nel periodo di Kaiser Franz (soprannome dovuto all'eredità affibbiatagli dai tifosi per le caratteristiche comuni con il grande Beckenbauer), ci sarà sempre un posto d'onore per lui nei ricordi di quegli anni in cui usciva palla al piede incendiando lo stadio e tutti cantavano a squarciagola “Franco Baresi c'è solo un Franco Baresi! Il capitano , c'è solo il capitano!”
                                                                              

                                                                          Enrico Bonifazi   (pubblicato su DNA Milan)

mercoledì 19 aprile 2017

About "MANCHESTER BY THE SEA"




Tutto è effimero, anche l'apparente certezza di ciò che siamo nel mondo. Lee (Casey Affleck) vive a Boston e lavora come tuttofare in un vastissimo complesso condominiale; stucca le pareti, sgorga gli scarichi intasati, si "sciroppa" i piccoli problemi degli inquilini e lo fa con indifferenza e menefreghismo con il solo intento di far scorrere più velocemente un giorno dopo l'altro. Lee è un uomo in fase di stallo, una sorta di "dead man walking" senza la forza (e/o la voglia) di tornare a vivere. Le sue giornate si susseguono così, fino al giorno in cui gli viene comunicata l'avvenuta morte del fratello Joe, a causa di un arresto cardiaco. Il triste avvenimento lo porta a tornare nella piccola Manchester, città gelida e marittima nella quale un tempo è vissuto felice, dove un cielo di piombo forma spesso un tuttuno col mare e le principali attività sono pesca e navigazione. Tornando, Lee dovrà fare i conti con il passato e assumersi responsabilità alle quali ha scelto di disabituarsi. Una storia toccante, da assimilare piano piano, così come il regista Kenneth Lonergan ha scelto di offrirla a noi spettatori, con un accurato utilizzo del flash-back, per mettere a nudo ogni piccolo dettaglio e rivelare quali avvenimenti hanno reso Lee, l'uomo disconnesso dalla vita che è oggi. Proprio la strategia dei salti temporali impedisce di focalizzare la vicenda più nel dettaglio, senza rischiare di "guastarne" la visione. Non posso far altro che applaudire i protagonisti (su tutti Affleck e Michelle Williams), davvero coinvolgenti ed espressivi ad eccezione forse del giovane Lucas Hedges che mi ha lasciato perplesso in un paio di passaggi. Senza respiro ho assistito al palesarsi del dramma, mentre le note dell'Adagio in Sol minore di Remo Giazotto facevano breccia nel mio cuore e "forzavano" le ghiandole lacrimali. Condivido pienamente i numerosi riconoscimenti (tra i quali tre premi Oscar) ottenuti dal film. Una storia che parla di quella redenzione che non viene cercata perché arrivi a porre fine alla sofferenza, ma di quella alla quale, ormai, si è indifferenti, poiché accettare uno sbaglio (umano), non è comunque rimuoverne le conseguenze. Bellissimo spaccato di vita che mostra quanto sia sottile l'equilibrio delle cose e quanto breve sia la distanza che separa le gioie e i drammi della vita. Applausi sinceri da parte mia.


                                                                             Enrico Bonifazi   (Cinerubik)