Uno dei temi ricorrenti nel cinema indipendente statunitense è la lotta per l'inclusione sociale. Essa può riguardare la ricerca delle pari opportunità per chi ha un reddito molto basso o l'integrazione di un immigrato; poi ci sono coloro che hanno un passato da cancellare e sono in cerca di un nuovo inizio.
Eddie Palmer (Justin Timberlake) è un uomo sulla quarantina che ha finito di scontare una lunga detenzione. Una volta scarcerato, fa ritorno a casa, nella catapecchia della nonna Vivian, che gli ha sempre fatto da madre.
L'anziana (devota e caritatevole) ospita nel suo terreno il caravan dove risiedono una ragazza "sbandata" e suo figlio undicenne di nome Sam (Ryder Allen).
Durante le (numerose) assenze della madre è la signora Vivian a prendersi cura di Sam, ospitandolo a casa sua anche per lunghissimi periodi.
Palmer, nel corso di questa convivenza, nota che il bambino assume atteggiamenti inusuali per un maschio. Veste sgargiante, pettina le bambole e guarda cartoni animati che hanno per protagonista un team di fatine colorate, manifestando interessi considerati tipicamente femminili.
Il ragazzino, con la sua adorabile spontaneità riesce a far breccia nel cuore "indurito" di Palmer che decide di proteggerlo dalla stupidità e dai pregiudizi di un mondo sempre in prima linea nell'appiccicare etichette a chi non rispetta i canoni di quella normalità che altro non è se non un concetto vago (e bigotto).
Palmer si troverà a lottare per riabilitarsi perché è difficile lasciarsi alle spalle un passato che è vivo e riaffiora da ogni sguardo (giudizio) che la gente per strada ti rivolge. Ma la sua sfida sarà anche proteggere Sam perché ancora più difficile è comprendere l'accanimento verso chi, come il suo giovane amico, di colpe non ne ha.
Nella ricerca di redenzione, l'uomo dovrà fare continuamente i conti coi suoi trascorsi ma lungo il "cammino" incontrerà anche persone sulle quali poter contare, che conoscono il significato di un pentimento sincero e l'importanza del perdono.
-"Quanti maschi vedi in quel cartone?"
-"Nessuno."
-"E questo cosa ti dice?"
-"Che forse posso essere il primo?"
Le sabbie mobili dei nostri errori cercano prepotentemente di tirarci giù, ma allungando una mano oltre la superficie, capita di trovarne una amica che saprà afferrarci e sostenerci.
Ai più, questo Palmer potrà sembrare l'attuazione di una strategia "furba" e vincente e in parte lo è. La distribuzione (i diritti sono stati acquisiti da Apple) è iniziata nel gennaio 2021, stabilendo il record di visualizzazioni sulla piattaforma della "mela morsicata".
Il regista Fisher Stevens (molto più spesso davanti, che dietro alla macchina da presa) decide di colorare una realtà che viene spesso raffigurata con tinte di grigio. Stevens, probabilmente, prende spunto dai film di Chbosky (come Wonder) capaci di "apparecchiare" il dramma senza allontanarsi troppo dal target di "visione familiare".
Il film, infatti, ha un taglio da fiaba sociale con qualche "tinta forte". Suscita riflessioni, commuove profondamente ma senza infierire sui "nervi scoperti" (privo cioè di quel sadismo realista, tipico dei film d'autore). I personaggi sono perfetti stereotipi della società moderna. I dialoghi sono originali, freschi e muniti di una carica piacevole nonché del giusto peso.
Timberlake sa il fatto suo, come ha sempre dimostrato nelle sue apparizioni cinematografiche e Ryder Allen si è meritato, con questo ruolo, una menzione al Critics' Choice Award come miglior giovane interprete.
Bravi entrambi a cercarsi l'uno nell'altro con la voglia di essere capiti e di sentirsi "giusti così" senza che questo implichi il venire approvati quotidianamente da persone affettivamente insignificanti (giudici, datori di lavoro, servizi sociali, compagni di scuola).
Un film sicuramente da vedere perché riesce a raccontare una storia nella storia andando oltre quella "crosta vecchia" che è il tema dell'accettazione del comportamento ritenuto "diverso", all'interno della famiglia (come già visto in film come Billy Elliot, ad esempio). "Palmer" rapporta questo a una realtà ottusa, ancorata a princìpi "tossici" che, senza l'aiuto delle giuste figure di riferimento, rischierebbero di sbranare la nostra personalità.
In una quotidianità fatta di sorrisi da "cassiera", più per compiacere gli altri che noi stessi, ritrovare la spontaneità renderebbe tutti e tutto un po' migliore e sicuramente più vero.